Oggi vorrei rispondere ad una domanda o meglio ad una paura che spesso sorge nelle
pazienti che affrontano un percorso per risolvere il loro disturbo alimentare. E’ una paura
che hanno le pazienti adulte che soffrono di Disturbi Alimentari (DA) e ancor di più le
pazienti adolescenti.
Più volte mi è infatti capitato che, quando la paziente con DA inizia a stare meglio e a
prendere consapevolezza dei numerosi passi avanti che sta facendo e che quindi il
disturbo alimentare viene sempre più “emarginato”, iniziano a temere che presto dovranno
terminare il percorso e proseguire da sole: “C’è la farò? Sarò in grado? Cosa mi
succederà? Se peggioro? Se ricado di nuovo nel disturbo?”.
L’ansia e la paura di dover proseguire “da sole” può portare alcune pazienti, soprattutto se
adolescenti, a compiere qualche passo indietro proprio per evitare che il percorso si possa
concludere.
Come dovrebbe comportarsi uno psicoterapeuta in questi casi?
Noi terapeuti, ovviamente non lavoriamo tutti nello stesso modo, d’altronde ognuno ha il
suo approccio e metodo che lo porterà ad agire in un modo piuttosto che in un altro.
Per quanto riguarda la mia esperienza con i pazienti che soffrono di Disturbi Alimentari il
modo in cui conduco la psicoterapia e quindi la paziente verso la conclusione è il
seguente.
“Diluire” progressivamente gli incontri
Come prima cosa, se con una paziente abbiamo una frequenza settimanale degli incontri non possiamo pensare di interromperli all’improvviso, perché per lei non sarebbe una situazione sostenibile, per questo solitamente “diluisco” progressivamente gli incontri – una volta a settimana, poi ogni due, ogni tre, una volta al mese e continuo a ridurli progressivamente fino a terminare e dar modo alla paziente di poter proseguire in modo totalmente autonomo.
Affrontare le preoccupazioni
Quando la paziente si sta avviando verso la fine del trattamento, la informo in modo chiaro
e sincero, rassicurandola, che anche dopo aver concluso la psicoterapia, continuerà a fare
altri piccoli passi avanti e che sarà in grado di riconoscerli perché ormai ha consapevolezza del suo continuo progredire ma soprattutto della direzione che deve
continuare a seguire.
La informo inoltre che potrebbero esserci delle scivolate, delle piccole ricadute, e che
non deve preoccuparsi. Sa come rialzarsi e riprendere da dove ha interrotto e che ciò è
essenziale per potersi sperimentare da sola, per vedere a che punto è arrivata, come
utilizza tutte le sue risorse, se ha tutti gli strumenti per gestirsi o qualcuno è necessario
rinforzarlo.
Spesso riporto due metafore:
Una è quella del ragazzo che deve imparare l’inglese e che va a fare un corso per
impararlo. Inizialmente deve essere seguito dall’insegnante, deve studiare e svolgere i
compiti. Poi però, per valutare se veramente ha imparato l’inglese, ha bisogno di
sperimentarsi in un viaggio all’estero, per prendere maggiore consapevolezza di cosa ha
imparato o se deve ripassare ancora qualche argomento da solo o con l’insegnante.
Un’altra metafora è quella della persona che deve fare scuola guida per prendere la
patente. Anche in questo caso farà una serie di lezioni con l’insegnante della scuola guida,
dovrà studiare per i quiz e per imparare le regole della strada. Una volta superato l’esame
e presa la patente, dovrà però guidare da solo e sperimentarsi su quanto imparato.
Probabilmente potrebbe avere ancora qualche difficoltà nei parcheggi o che alcune
manovre gli verranno più facili di altre, ma ciò lo può scoprire soltanto sperimentandosi in
modo autonomo.
Elencare i progressi e i comportamenti funzionali
Verso la fine del trattamento faccio costruire alla paziente una “lista” di tutti i progressi
fatti durante il percorso, grazie ai suoi sforzi, al suo impegno e alla sua motivazione a
voler uscire dal Disturbo Alimentare e di cui deve essere soddisfatta perché ciò non la
renderà più schiava del disturbo.
Elenca da sola ma ovviamente sempre con il mio supporto, tutti i progressi compiuti nel
corso del trattamento ma anche quali sono gli aspetti residui su cui si sente insicura e
dobbiamo continuare a lavorare.
Questo lavoro mi permette di eliminare gradualmente le procedure del trattamento che
non sono più essenziali alla paziente e valutare se introdurne o no delle nuove.
Oltre ai progressi, alla paziente chiedo di stilare (sempre con il mio supporto) tutte le
strategie e i comportamenti funzionali che l’hanno aiutata o la stanno aiutando ad uscire
dal disturbo, ma anche quelli disfunzionali che deve tenere ben presenti per evitare di
ripeterli. In questo modo può minimizzare il rischio di ricadute a breve e lungo termine.

Di seguito alcuni esempi generici di strategie e comportamenti funzionali, poiché
comunque dipendono dallo specifico disturbo alimentare e dalla persona che ne soffre:
- Mantenere una alimentazione regolare, quindi fare tre pasti e due spuntini;
- Mangiare ciò di cui ha voglia;
- Mangiare in compagnia;
- Mantenere il peso nel “range” stabilito con la nutrizionista;
- Continuare a mantenere e incrementare gli interessi sviluppati nel corso della
psicoterapia (hobbies, attività sportiva di gruppo, interessi, ecc) - Continuare a coltivare le relazioni interpersonali;
- Riutilizzare delle procedure o strategie abbandonate, ma che in alcuni momenti
potrebbero esserle utili per rientrare in carreggiata.
Alcuni esempi di comportamenti disfunzionali, e quindi che dovrebbe evitare di rimettere
in atto perché potrebbero farla ricadere nel disturbo, sono:
- Diete restrittive, anche se magari si è preso qualche chiletto in più;
- Saltare i pasti;
- Distinguere i cibi in buoni e cattivi;
- Passare il momento dei pasti in solitudine;
- Isolarsi.
Costruiamo quindi una sorta di “piano d’azione” che la paziente dovrà tenere sempre a
portata di mano, sempre con sé, per ricordarsi quali sono tutti quei comportamenti che la
potrebbero far ricadere e quelli che invece la tengono fuori dal disturbo.
Rassicurare che “la porta è sempre aperta”
Una cosa che mi sembra scontata ma forse non lo è, essenziale durante tutta la
psicoterapia e ancor di più quando ci si avvia verso la conclusione, è tranquillizzare la
paziente, rassicurarla, dicendole: “una volta terminato il percorso, in qualsiasi momento ti
dovessi rendere conto di averne bisogno, mi potrai contattare e se sarà necessario
potremmo fissare un colloquio, terminare il percorso non significa che tu non possa
tornare nel momento del bisogno”.
“Tenere la porta sempre aperta”, quindi poterla accogliere nuovamente nel caso ne
avesse bisogno, permette alla paziente di potersi “sganciare” dalla psicoterapia in modo
più sereno, sicura di poter proseguire da sola… così che la fine del percorso non sia
traumatico.
Con questo articolo spero di poter essere stata di aiuto ai pazienti che stanno terminando
un percorso da un DA e ai colleghi che magari sono in dubbio su come farlo.
Se hai bisogno del mio supporto, contattami.
Fonti:
Manuale di terapia Cognitivo Comportamentale dei Disturbi Alimentari nell’adolescenza
Manuale di terapia a seduta singola