La storia di Lara: Prigione – Anoressia, una gabbia mentale da cui è difficile uscire da soli

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Questa che leggerai tra poco è una lettera che Lara, una mia paziente, ha deciso di scrivere a se stessa verso la fine del percorso terapeutico.

Qualche tempo prima, a inizio percorso, le avevo chiesto io di scrivere una lettera a se stessa per raccontare come e quando tutto è cominciato.

Clicca qui se vuoi leggerla.

Lara oggi è una ragazza di 21 anni che finalmente è tornata a vivere libera dopo 7 lunghi anni di reclusione in una gabbia che inizialmente le sembrava la salvezza, la soluzione ai suoi problemi.

Il percorso terapeutico, insieme al continuo supporto dei genitori le hanno permesso di liberarsi da tutti quegli incubi che la portavano a rifiutare il cibo rendendola prigioniera.

Questa volta rispetto la precedente, è stata Lara a chiedermi se poteva scrivere una lettera indirizzata a se stessa e questo è stato il bellissimo risultato uscitone fuori.

Ciao Lara,

Voglio raccontarti un po’ di cose.

Sono arrivata a pesarmi 12 volte al giorno, suddivise in tre momenti della giornata, per tenere sotto controllo il mio peso, quasi non assumevo neanche più l’acqua per non vederlo aumentare.

A scuola continuavo ad essere brava anche se studiavo con grande fatica, non mangiando praticamente nulla, l’impegno che mi richiedeva lo studio era molto, facevo fatica a concentrarmi e a memorizzare ma sono sempre stata molto determinata e non volevo che i miei voti potessero calare.

A mia madre e mio padre stavo infliggendo tantissime preoccupazioni, erano esauriti ed entrambi non se ne facevano una ragione.

Spesso mi hanno detto: “A scuola sei brava, non dai mai problemi, vai d’accordo con tutti e non sei mai stata mollata da nessun ragazzo, anzi forse sei tu ad allontanarli. Hai una bella vita, eppure ogni giorno della settimana è uguale al precedente, non mangi!”.

Mia madre inizialmente mi chiedeva cosa preferissi mangiare, poi non avendo risposta cercava di prepararmi le cose che sapeva più mi piacevano.

Restavo a tavola con la testa piegata sul piatto e mi sentivo forte ogni volta che riuscivo a non mangiare quello che c’era dentro, nonostante mi ricordavo che prima mi piaceva molto. Mio padre poverino le ha provate tutte, inizialmente mi serviva grandi porzioni, poi sempre più piccole. Mi diceva più volte di mangiare durante il giorno, poi provò a non dirmelo più.

I loro ragionamenti non servivano a nulla. Non c’era parola, pianto o supplica che potessero smuovermi. Esausti si sono arresi, ma continuavano a farmi sentire la loro presenza mettendomi un fiore vicino il mio piatto che ormai rimaneva sempre vuoto.

Si Lara lo so, una cosa bellissima. A scriverlo mi viene anche da piangere ora. I miei genitori hanno cercato di starmi vicino in tutti i modi. Siamo sempre andati molto d’accordo, eravamo una famiglia unita ed io la stavo distruggendo ma non sapevo fare diversamente.

L’allarme è scattato quando un giorno, uscendo da scuola sono svenuta. Anche qui, davanti a tutti!

La mia migliore amica, la stessa che al tempo provò a difendermi, ha chiamato subito i miei genitori e a quel punto d’accordo con loro o più che altro per loro, ho deciso, anche se con scarse speranze, di iniziare nuovamente una terapia per provare a recuperare peso e liberarmi da quella gabbia che credevo mi proteggesse.

Andammo insieme da una psicoterapeuta da cui stranamente mi sentii subito compresa. Sembrava stesse nella mia testa e parlasse la mia lingua e questo mi rasserenava perché non ero più sola ad affrontare questo problema, che però io onestamente tanto problema ancora non lo vedevo.

Essendo maggiorenne negli incontri eravamo sempre io e lei, ma in alcuni, con me c’erano anche i miei genitori. Ricordo bene quell’incontro, probabilmente l’incontro che ha dato lo scossone al percorso di “liberazione” che già avevo iniziato a fare.

Mia madre cominciò a raccontare tutta la situazione alla terapeuta, nonostante lo avessi già fatto io, voleva conoscere anche il punto di vista dei miei genitori per capire come potessero aiutarmi.

Mentre mia madre raccontava e si commuoveva, le strinsi la mano affettuosamente come per ricompensarla delle sofferenze che le avevo e le stavo infliggendo.

Quando dovette raccontare mio padre, lui girandosi con sofferenza verso di me esordì dicendo: “Che ti abbiamo fatto di male? Cosa ti abbiamo fatto mancare? Perché ci fai tutto questo?”.

Niente, loro non mi avevano fatto proprio niente, anzi forse avevano avuto fin troppa pazienza. Mi avrebbero dovuto “sfanculare” già da tempo considerando quello che gli stavo facendo vivere.

Non risposi, non sapevo cosa dirgli. Cominciai solo a piangere. Prima con qualche lacrima silenziosa, poi la terapeuta con voce calda mi disse: “Non preoccuparti, sei al sicuro, sei tra chi ti protegge, piangi tranquillamente”. Fu allora che il mio pianto diventò rumoroso e singhiozzante, simile a quello di una bambina.

E’ come se mi stavo liberando di un peso grossissimo. Piangevo, piangevo e mi sentivo sempre più leggera, le lacrime si esaurirono da sole, senza forzarle a non uscire, come ormai facevo da dopo quel famoso weekend di Settembre.

Finito di piangere, mi asciugai il viso e rimasi in silenzio. Qualcosa era cambiato, qualcosa nella mia testa era scattato come in quel Venerdì di Settembre.

Briciola dopo briciola ho cominciato a rimettere qualcosa in bocca, prendere vitamine e a mangiare i cibi come fossero medicine. Sapevo di doverli prendere per guarire anche se inizialmente era faticoso farlo.

Come da accordi con la terapeuta, che mi ha lasciato sempre libera di scegliere permettendomi così di uscire dalla gabbia, ogni settimana (circa) aumentavo un pochino la quantità di quello che mangiavo, dato che il mio stomaco era completamente chiuso e se mi sentivo troppo piena, mi veniva da vomitare perché stavo e riscattavano i brutti pensieri.

Sai Lara! Per la prima volta cominciavo ad aver paura di non vivere abbastanza per chiedere scusa a tutte quelle persone che mi hanno voluto bene e che hanno fatto il possibile per tenermi attaccata alla vita.

Non vedevo più la morte come soluzione a quello che stavo vivendo, volevo vivere, volevo tornare a stare bene e soprattutto a sentirmi libera dalla gabbia che mi ero costruita.

Pensa Lara, adesso mangio 5 volte al giorno, potrei mangiare di più ma la terapeuta mi dice che per ora va bene così, sto prendendo lentamente peso e ammetto che a volte la cosa mi fa ancora paura, ma non sono sola e voglio continuare a farlo.

Mi sento che lentamente sto rinascendo!

Tra alti e bassi, giorni più facili e più difficili mi sento che ne sto uscendo sempre di più. Prima passavo il tempo a studiare ma soprattutto a controllare il cibo, quel cibo che rifiutavo ma desideravo profondamente. Non ricordavo ci fossero cose tanto buone da mangiare.

Ora esco, vedo i miei amici e coltivo i miei hobby, ho deciso di cambiare facoltà universitaria seguendo ciò che mi piace e non quello che secondo gli altri può darmi più lavoro, trascorro volentieri il tempo con i miei genitori e mi sento fortunata di averne due così straordinari.

So bene Lara, che ciò che ho raggiunto con la terapia è da consolidare, da rendere più forte, che devo ancora lavorare tanto. Come dice la mia terapeuta devo imparare a “disinnescare tutti i miei pensieri sabotanti”, ma sono fiduciosa, molto.

Questa occasione non voglio sprecarla, Lara. Si, voglio essere libera!

Adesso devo salutarti perché è ora di cena.

Ti saluto con affetto e ti ringrazio di essere finalmente tornata!

Rileggerei questa lettera un milione di volte per darmi coraggio quando vedo che alcuni pazienti fanno fatica a raggiungere risultati.

Non è mai facile, non è mai immediato, ma è possibile!
E questo mi basta per continuare a fare il mio lavoro con passione e determinazione.

Per i miei pazienti ci sarò sempre.

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